Il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma che separa le carriere dei magistrati. Un voto che chiude un lungo iter parlamentare ma che segna solo l’inizio di una nuova, accesa fase di confronto. Il governo definisce il risultato un “traguardo storico”, mentre l’opposizione parla di un tentativo di mettere le mani sulla giustizia. Con l’approvazione della legge, la battaglia si sposta dalle aule di Montecitorio alle piazze e ai seggi elettorali, perché sia la maggioranza che le opposizioni hanno già annunciato la volontà di ricorrere a un referendum sulla giustizia confermativo.

Una scelta che, in assenza del quorum, trasformerà il voto in una prova di forza sulla capacità di mobilitare gli elettorati. L’appuntamento per questa decisiva consultazione popolare è previsto tra marzo e aprile del 2026, lasciando al paese oltre un anno di campagna referendaria.

Cos’è successo in Parlamento

Palazzo Madama ha ospitato l’ultimo atto legislativo della riforma. Il disegno di legge costituzionale ha superato il suo quarto e ultimo passaggio parlamentare con 112 voti a favore, 59 contrari e 9 astensioni.

Questo voto sancisce l’ingresso nella Carta fondamentale del principio della separazione delle carriere tra i magistrati giudicanti e quelli requirenti, ovvero tra chi emette sentenze e chi conduce le indagini e sostiene l’accusa.

La riforma modifica l’ordinamento giudiziario, un tema delicato su cui diversi governi hanno tentato di intervenire negli ultimi decenni. L’approvazione definitiva arriva dopo un dibattito serrato, caratterizzato da toni accesi e forti tensioni politiche, culminate nelle proteste delle opposizioni durante la seduta.

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Le reazioni della maggioranza e lo scontro con l’Anm

La presidente del Consiglio ha commentato l’approvazione con una dichiarazione che ne sottolinea il peso: si è trattato di un “traguardo storico”. La premier ha poi rivolto critiche all’Associazione Nazionale Magistrati, affermando di non ricordare “una volta in cui sia stata favorevole a qualsiasi riforma della giustizia”.

La replica dell’Anm non si è fatta attendere e ha bollato le proposte del governo come “inascoltate”, aggiungendo l’accusa che l’esecutivo “vuole controllare la magistratura”. Il ministro della Giustizia ha invece aperto a un tono più conciliante, proponendo un confronto sulle future leggi di attuazione della riforma e accogliendo la disponibilità di un’emittente a ospitare un dibattito.

All’interno della coalizione di governo, Forza Italia ha rivendicato la paternità politica dell’intervento, dedicando il risultato al suo leader storico. Anche la Lega ha espresso soddisfazione, ricordando i referendum abrogativi promossi sullo stesso tema che in passato non raggiunsero il quorum.

La posizione netta delle opposizioni

Dall’altra parte dell’emiciclo, le reazioni sono state di netta condanna.

La segretaria del Partito Democratico ha accusato la premier e il suo governo di volere “le mani libere”, dipingendo la riforma come uno strumento per indebolire l’autonomia del potere giudiziario.

Sulla stessa linea si è espresso il leader del Movimento 5 Stelle, che ha parlato di un esecutivo in cerca di “pieni poteri” e ha garantito che le opposizioni li contrasteranno “in ogni modo”.

Questo fronte del No si sta già organizzando per la campagna referendaria. È emerso, infatti, che un noto avvocato e professore ordinario di diritto costituzionale sarà il presidente onorario del “Comitato a difesa della Costituzione e per il No al referendum sulla riforma della Giustizia”, un comitato promosso proprio dall’Anm.

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Come funziona il referendum sulla giustizia confermativo e cosa dicono i leader

Il prossimo appuntamento sarà quindi il referendum confermativo. Questo strumento, diverso dal più comune referendum abrogativo, non richiede il raggiungimento di un quorum di partecipazione per essere valido.

La vittoria andrà semplicemente a chi otterrà più voti, rendendo la sfida una questione di capacità di motivare e portare al voto la propria base elettorale. La premier ha cercato di inquadrare il voto come una “consultazione sulla giustizia” in sé, assicurando che non avrà “conseguenze per il governo”.

Ha invitato i cittadini a scegliere in base a una semplice domanda: chi pensa che nella giustizia vada tutto bene voterà No, chi crede che possa migliorare voterà Sì. Il leader della Lega ha rincarato la dose, definendo “normale” separare le carriere e “giusto” togliere l’ideologia dai tribunali, accusando “un manipolo” di magistrati “politicizzati” di opporsi alla riforma.

Cosa succede ora

Con la palla che passa ai cittadini, il paese si prepara a mesi di intenso dibattito. Il referendum sulla giustizia non sarà un voto sul governo, come ha tenuto a precisare la premier, ma è inevitabile che si trasformi in un test sulla sua azione e sulla sua popolarità.

La riforma tocca un nervo scoperto del sistema paese e interessa da vicino il funzionamento di uno dei poteri fondamentali dello Stato.

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La sfida per i due schieramenti sarà spiegare agli elettori i contenuti tecnici della riforma e le sue implicazioni concrete, trasformando una questione complessa in un messaggio chiaro in grado di spingere le persone a recarsi alle urne in una consultazione senza quorum.

La posta in gioco è alta e il risultato, atteso nella primavera del 2026, avrà un impatto duraturo sull’assetto istituzionale italiano.

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