Una Margherita a 69 euro. Non è un errore di battitura, ma la realtà del menu di Crazy Pizza, il brand di ristorazione fondato dall’imprenditore Flavio Briatore. In un mercato dove la pizza è per definizione un cibo popolare, Briatore ha sfidato ogni convenzione. Ha lanciato un concept che la trasforma in un prodotto di lusso. Ma cosa spinge un cliente a pagare così tanto per un piatto tradizionalmente accessibile?
La risposta va cercata in una strategia che punta tutto sull’esperienza completa. Crazy Pizza non vende solo un impasto con sopra del pomodoro. Vende l’illusione di un lusso accessibile per una sera, uno spettacolo da vivere e, soprattutto, da condividere sui social. Questo articolo approfondisce il fenomeno, i suoi numeri, le polemiche e la ricetta segreta di un successo imprenditoriale che fa discutere il mondo della ristorazione.
Il concept: uno “show con sotto un forno”
Crazy Pizza ha smesso di essere una semplice pizzeria per diventare un fenomeno di business globale. Il suo successo non risiede nella perfezione di un impasto lievitato per 72 ore, ma in una formula calcolata che risponde a desideri moderni.
L’esperienza memorabile
Entrare in un locale di Crazy Pizza significa assistere a uno spettacolo multisensoriale. Pizzaioli-acrobati si esibiscono in performance acrobatiche con l’impasto tra i tavoli, mentre DJ set creano un’atmosfera da club . Il servizio è rapido e scenografico, e l’arredamento ricercato trasporta il cliente in un’illusione di glamour. Come ha osservato un analista, Crazy Pizza è essenzialmente uno “show con sotto un forno“. Il cibo, per quanto di qualità, diventa un pretesto per un’esperienza più ampia, perfettamente “instagrammabile”.
Il prodotto: qualità e controversie
Briatore fonda la sua proposta culinaria su due pilastri: ingredienti di altissima gamma e una ricetta “segreta” dell’impasto. Sul menu si trovano Pata Negra, tartufo nero e caviale. L’imprenditore ha più volte sottolineato l’uso di un impasto senza lievito, descrivendolo come leggero e che non gonfia. Questa affermazione ha scatenato le critiche dei puristi, che la considerano una semplificazione commerciale. Una recensione diretta descrive l’impasto come “leggero” e che “scompare al morso”, ma anche con una “mancanza di personalità”, lasciando così protagonista la farcitura.
Un format scalabile
Il vero colpo di genio di Briatore e del suo socio Francesco Costa è stato creare un format replicabile in qualsiasi capitale del mondo. L’esperienza è standardizzata: lo show, l’arredamento, il tipo di menu. Questo ha permesso al brand di espandersi rapidamente, contando oggi su oltre 20 locali in mete glamour come Milano, Londra, Monte Carlo, New York e presto anche Torino. Il target non è chi cerca la migliore pizza tecnica, ma un cliente, spesso giovane, che desidera sentirsi “ricco almeno per una sera”.
Quanto costa davvero mangiare da Crazy Pizza?
I prezzi sono il punto più discusso del brand. Ecco una panoramica di quanto si può spendere per un pasto.
Antipasti e primi piatti
La semplice focaccia costa 6 euro. I salumi e i formaggi di alta gamma fanno subito salire il conto: la bresaola a 21 euro e una porzione da 50 grammi di Pata Negra arriva a 43 euro. Anche gli altri antipasti, come le patatine con tartufo e parmigiano o la mozzarella di bufala, si assestano intorno ai 19 euro. Le insalate hanno un range di prezzo vastissimo, dai 17 ai 364 euro, probabilmente a seconda della presenza di ingredienti super-premium come il tartufo. I primi piatti della tradizione italiana costano intorno ai 20 euro.
Le pizze: dalla tradizione al lusso estremo
Il cuore del menu è, ovviamente, la pizza. Le versioni più semplici, come la Marinara e la Margherita, sono proposte rispettivamente a 16 e 18 euro. Prezzi alti, ma non lontani da quelli di molti locali di tendenza nelle grandi città.
È con le pizze “gourmet” che si sfonda il muro del suono. Un calzone costa 26 euro. La pizza al tartufo viene 56 euro. E la vera star, al centro di mille polemiche, è la Margherita Pata Negra, che con i suoi 65/69 euro è diventata il simbolo di questa operazione commerciale.
Dolci e considerazioni finali
Chiudere il pasto con un dolce ha un suo costo: si va dai 17 euro della Pizza Nutella ai 19 euro del Tiramisù al minuto. È evidente che Crazy Pizza non intende competere sul prezzo con le pizzerie tradizionali. Il suo obiettivo è posizionarsi in un segmento di mercato completamente diverso, quello della ristorazione di intrattenimento di alta gamma.
Le polemiche e le repliche di Briatore
Le critiche dalla ristorazione
L’arrivo di Crazy Pizza ha scatenato un vivace dibattito. Da un lato, i pizzaioli professionisti e i puristi del settore hanno sollevato dubbi sull’autenticità della proposta. Criticano l’uso di un impasto senza lievito e i prezzi elevati per un cibo considerato per sua natura popolare. Molti sostengono che si tratti più di uno spettacolo che di cucina, svuotando la pizza della sua tradizione.
La difesa dell’imprenditore
Flavio Briatore ha replicato più volte alle critiche, difendendo la sua creatura a muso duro. In un’intervista, ha spiegato: “C’è una possibilità variegata di menu che consentono di scegliere. E i prezzi sono assolutamente normali”. Il suo punto di vista è che il cliente non paga solo il cibo, ma un pacchetto completo.
Briatore sottolinea l’importanza della riserva di vini, dell’ambiente e del servizio. “Noi abbiamo una clientela molto giovane sia a Milano che a Londra – ha spiegato – Nessun cliente comunque si è mai lamentato del costo, perché il costo è in proporzione al servizio, alla qualità, all’energia che c’è nel locale e al modo in cui il cliente viene trattato”.
Il futuro di un format controverso
Crazy Pizza è un fenomeno che non può essere ignorato. Che si ami o si detesti, rappresenta un caso di studio sulla moderna ristorazione. Briatore ha identificato un bisogno di evasione e di esperienza condivisibile che va oltre il palato.
Ha costruito un brand solido, scalabile e riconoscibile, cavalcando abilmente le polemiche come forma di marketing. Il suo successo commerciale, testimoniato dalla continua espansione, dimostra che la sua ricetta, almeno dal punto di vista imprenditoriale, funziona.
Il futuro dirà se si tratterà di una moda passeggera o di un nuovo modello di business destinato a durare. Una cosa è certa: ha acceso un faro su quanto il concetto di “pizza” possa essere allungato e distorto, facendo discutere tutti, dagli chef stellati ai semplici appassionati. E forse, in fondo, era proprio questo l’obiettivo.