I genitori dei liceali di Chiaia lanciano un grido d’allarme dopo otto mesi di violenze e intimidazioni. Una baby gang composta da ragazzini di 12-13 anni sta terrorizzando gli studenti dei licei Umberto, Pontano e Mercalli. Le aggressioni avvengono con metodica regolarità nelle zone di Via Carducci, Piazza Santa Caterina e Piazza San Pasquale. I giovani vengono affrontati con spintoni, ceffoni e minacce con armi bianche, mentre gli scooter parcheggiati finiscono regolarmente graffiati.
I residenti del quartiere vivono in uno stato di crescente apprensione, temendo che queste violenze possano subire una pericolosa escalation. Molti si chiedono come sia possibile che giovanissimi preadolescenti possano trasformarsi in una minaccia così concreta per i loro coetanei.
La geografia della paura: dove agisce la baby gang
La baby gang di Chiaia opera secondo uno schema preciso. I ragazzini, tutti tra i 12 e i 13 anni, scelgono con cura i luoghi e i momenti per i loro agguati. Via Carducci, Piazza Santa Caterina e Piazza San Pasquale sono diventate zone off-limits per molti giovani dopo il calare del sole. Gli episodi si verificano principalmente nelle ore serali, quando i liceali escono da scuola o si trattano in zona per incontrare amici.
Le vittime sono quasi sempre minorenni, scelti perché più vulnerabili e meno propensi a denunciare. Le testimonianze raccolte tra i genitori parlano di una vera e propria strategia degli agguati. I ragazzini aspettano i compagni più giovani in gruppo, li circondano e passano alle intimidazioni fisiche e verbali.
Non si tratta di episodi isolati, ma di un clima di terrore che perdura da quasi un anno. I genitori denunciano come questa situazione stia condizionando la vita quotidiana dei figli, costretti a cambiare percorsi e abitudini per evitare di finire nel mirino della banda.
L’impatto psicologico sulle vittime
Le conseguenze di queste violenze vanno ben oltre i lividi e i graffi momentanei. Gli specialisti segnalano che vittime di bullismo giovanile sviluppano spesso sintomi ansiosi, disturbi del sonno e cali nel rendimento scolastico. Molti studenti dei licei coinvolti mostrano già segni di sofferenza psicologica. Alcuni rifiutano di uscire la sera, altri chiedono di essere accompagnati anche per brevi tragitti.
L’isolamento sociale diventa una difesa spontanea ma controproducente. I giovani si privano delle normali occasioni di socialità per paura di incontrare i loro aggressori. Questo clima mina alla base il senso di sicurezza che dovrebbe caratterizzare gli anni della formazione.
I genitori sottolineano come la situazione stia creando un danno collaterale all’intera comunità. Il quartiere, tradizionalmente vivace e frequentato da giovani, sta progressivamente perdendo la sua vocazione inclusiva. I locali e le attività commerciali risentono di questo clima di tensione, con sempre meno ragazzi disposti a frequentare la zona nelle ore serali.
Le risposte istituzionali al fenomeno baby gang
Di fronte all’emergenza, i genitori chiedono un intervento immediato delle forze dell’ordine. Sollecitano una presenza più visibile e costante nelle aree critiche, soprattutto nelle ore di maggiore rischio. Chiedono anche interventi educativi mirati, coinvolgendo le scuole e i servizi sociali. L’età degli aggressori – 12-13 anni – rappresenta una sfida complessa. Essendo minorenni sotto i 14 anni, non sono imputabili penalmente.
Questo limite giuridico rende necessario un approccio multidisciplinare che unisca prevenzione, educazione e controllo. Esperienze simili in altre città italiane dimostrano che le soluzioni puramente repressive raramente funzionano con preadolescenti. Servono progetti di recupero educativo che coinvolgano le famiglie, spesso inconsapevoli delle attività dei figli. Le scuole potrebbero attivare sportelli di ascolto e percorsi sulla gestione dei conflitti.
I servizi sociali potrebbero identificare situazioni di disagio familiare che alimentano questi comportamenti. La collaborazione tra istituzioni diventa essenziale per spezzare il circolo vizioso della violenza giovanile.
Prevenzione e soluzioni: oltre l’emergenza
Per affrontare structuralmente il fenomeno baby gang, servono strategie a lungo termine. L’esperienza internazionale suggerisce che i programmi più efficaci combinano supervisione adulta, attività alternative e sostegno psicologico.
L’obiettivo non è solo dissuadere i comportamenti violenti, ma offrire ai giovani modelli positivi di identificazione. Le attività extrascolastiche strutturate – sportive, artistiche, culturali – possono rappresentare un’antidoto potente alla deriva violenta. Danno ai ragazzi un senso di appartenenza sana e opportunità di riconoscimento sociale alternative all’intimidazione.
Anche il monitoraggio dei social network e delle piattaforme digitali diventa cruciale. Spesso le baby gang nascono e si organizzano online, dove i comportamenti aggressivi trovano una cassa di risonanza pericolosa.
I genitori delle vittime suggeriscono anche l’istituzione di numero verde dedicato per segnalazioni anonime. Questo strumento potrebbe aiutare a rompere il muro dell’omertà che spesso protegge questi gruppi. Molti testimoni, infatti, temono ritorsioni e preferiscono non parlare con le autorità.
Una comunità alla ricerca di risposte
La storia della baby gang di Chiaia riflette un malessere giovanile più ampio, che richiede risposte coordinate e compassionevoli. I genitori dei liceali chiedono protezione immediata, ma anche interventi educativi profondi.
Il quartiere di Chiaia si trova a fronteggiare una sfida complessa: garantire sicurezza senza emarginare, prevenire senza criminalizzare. Le prossime settimane saranno cruciali per capire se le istituzioni riusciranno a trovare il giusto equilibrio. La speranza è che questa vicenda possa trasformarsi in un’opportunità per ripensare le politiche giovanili cittadine. Per costruire una comunità davvero inclusiva, dove nessun ragazzo senta il bisogno di trovare identità nella violenza e nessuno studente debba avere paura di tornare a casa la sera.
La redazione invita i lettori a riflettere su quali iniziative potrebbero aiutare i giovani del territorio a trovare alternative concrete alla violenza e all’emarginazione.