Il portavoce del Cremlino ha lanciato un monito a Washington: fornire all’Ucraina i missili Tomahawk sarebbe un passo pericoloso. La reazione arriva poche ore dopo che il presidente americano ha annunciato di aver “preso una decisione” sulle forniture, ponendo però una condizione a Kiev. Uno scambio di dichiarazioni che segna un nuovo, teso capitolo nelle relazioni USA-Russia e rischia di innescare una pericolosa seria escalation del conflitto.
La tensione sulle forniture militari all’Ucraina tocca un nuovo apice. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito “una seria escalation” la possibile consegna di missili Tomahawk dagli Stati Uniti all’Ucraina. La giustificazione, riportata dall’agenzia Ria Novosti, risiede nella natura stessa dell’arma: “si parla di missili che possono anche portare ordigni nucleari”.
Peskov ha aggiunto che Mosca aspetta “dichiarazioni più chiare” da Washington, dopo le parole pronunciate dal presidente americano. Quest’ultimo, in un incontro con i giornalisti, ha affermato di aver “sort of made a decision” sull’invio dei missili, ma di voler prima “porre alcune domande” agli ucraini su come intendono utilizzarli.
“Non cerco una escalation”, ha precisato, lasciando il mondo in sospeso su una delle decisioni militari più attese e controverse.
Una decisione sul filo del rasoio
L’amministrazione americana si trova a dover soppesare una scelta dalle conseguenze strategiche immense. Da un lato, la richiesta ucraina è chiara e pressante. I missili Tomahawk, con un raggio d’azione compreso tra 1.600 e 2.500 chilometri, potrebbero cambiare le regole del gioco.
Kiev potrebbe colpire in profondità il territorio russo, raggiungendo obiettivi militari e logistici finora al sicuro. Dall’altro lato, la minaccia russa è esplicita. Il presidente Putin ha avvertito che questa fornitura “porterebbe alla distruzione” della positiva tendenza emersa nei rapporti USA-Russia.
È una partita a poker ad altissime poste, dove la posta in gioco è la stabilità globale. L’Europa, intanto, trattiene il fiato. Il vice ministro degli Esteri russo Alexander Grushko ha dichiarato che il Vecchio Continente è “sulla via della escalation” e che i rischi di uno scontro “sono molto alti”.
Perché i Tomahawk fanno paura al Cremlino
La ferma opposizione russa a questa fornitura non è retorica, ma nasce da calcoli strategici precisi. I Tomahawk rappresentano una minaccia diretta al santuario che la Russia si è creata nelle sue retrovie.
Attualmente, Mosca può condurre operazioni militari sapendo che fabbriche, basi aeree e centri logistici vitali situati in profondità nel suo territorio sono relativamente al sicuro. I droni ucraini compiono lunghi raid, ma hanno un carico utile limitato, inadatto a distruggere strutture fortificate o bersagli specializzati.
I Tomahawk, con la loro testata potente e la precisione chirurgica, cancellano questo vantaggio. Un’analisi dell’Institute for the Study of War (ISW) stima che almeno 1.945 obiettivi militari russi siano a portata della variante più potente del Tomahawk.
Tra questi, ci sono la fabbrica di droni Shahed a Yelabuga e la base aerea di Engels-2, da cui decollano i bombardieri strategici russi. Privare la Russia di questo santuario significherebbe minarne gravemente le capacità di sostenere la guerra sul lungo periodo.
La posizione di Trump: tra frustrazione e pragmatismo
L’approccio del presidente americano riflette una complessa alchimia di pragmatismo e frustrazione. La sua amministrazione, dopo un iniziale tentativo di distensione con Mosca, sembra aver cambiato passo.
Fonti vicine alla Casa Bianca riferiscono di una delusione per le promesse non mantenute dal Cremlino, che non ha mostrato una reale volontà di negoziare seriamente con Kiev. L’annuncio di una decisione già “presa”, seppur in modo informale, segnala un possibile cambio di rotta. Tuttavia, la condizione posta – conoscere in anticipo i piani di utilizzo ucraini – rivela una cautela dettata dalla paura di una spirale incontrollata.
Trump si trova a dover bilanciare la necessità di sostenere un alleato, la volontà di non apparire debole di fronte a Putin e il rischio concreto di un’escalation diretta con una potenza nucleare. È la stessa tattica usata in passato per altre armi, come gli F-16 e gli ATACMS: minacciare la fornitura per massimizzare la leva diplomatica, salvo poi concederla quando le trattative non decollano.
Lo scenario di un conflitto trasformato
Se i Tomahawk dovessero arrivare in Ucraina, il volto della guerra cambierebbe per sempre. Kiev non sarebbe più costretta a condurre solo una difesa del proprio territorio, ma potrebbe passare a un’azione sistematica per logorare la macchina da guerra russa nel suo cuore. Non si tratterebbe solo di colpire raffinerie e depositi di carburante, come già avviene con i droni, ma di mettere a rischio infrastrutture critiche come:
Principali basi aeree per i bombardamenti strategici sull’Ucraina.
Nodi di comando e controllo delle operazioni militari.
- Centri di produzione e stoccaggio degli armamenti. Questa capacità di proiezione di forza costringerebbe la Russia a dirottare risorse preziose dalla linea del fronte per difendere il proprio interno, un ribaltamento strategico di portata storica. Il governo ucraino, dal canto suo, sta già lavorando a un missile da crociera domestico, l’FP-5 Flamingo, ma la sua produzione su larga scala è un progetto per il futuro. I Tomahawk rappresentano la soluzione immediata per colmare un divario di capacità che oggi pesa come un macigno.
Una crisi dentro la crisi: le divisioni europee
Mentre Washington e Mosca si affrontano sulla questione dei missili, l’Unione Europea mostra ancora una volta le sue crepe. Il primo ministro ungherese ha preso una netta posizione contro l’ingresso dell’Ucraina nell’UE, dichiarando su X che il suo Paese “non è obbligato a sostenere l’adesione” e accusando Kiev di fare “ricatto”.
Questa dichiarazione, arrivata in un momento di massima vulnerabilità per l’Ucraina, mina la solidarietà europea e offre al Cremlino un comodo varco per cui esercitare ulteriore pressione. Dimostra come, nonostante la guerra, la visione di un’Europa unita e coesa su tutte le questioni strategiche sia ancora un obiettivo lontano.
La seria escalation dei Tomahawk
La partita sui missili Tomahawk è molto più di una disputa sulle armi. È il termometro delle relazioni USA-Russia, la cartina di tornasole della determinazione occidentale e un potente catalizzatore per le sorti del conflitto. La seria escalation evocata dal Cremlino non è un fantasma, ma una concreta possibilità che sta costringendo tutte le parti in gioco a ricalcolare le proprie mosse.
La decisione di Washington, attesa in queste ore, potrebbe segnare il confine tra una guerra di logoramento e un conflitto di diversa, più pericolosa, natura. Il mondo trattiene il respiro, consapevole che in questa partita non ci sono più solo pedine, ma i re sono entrati in gioco.