“Ho già preso una decisione, più o meno”. Con questa frase, il presidente degli Stati Uniti ha acceso i riflettori su una delle scelte militari più delicate dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina: la fornitura dei missili da crociera BGM-109 Tomahawk a Kiev.

L’annuncio, fatto nello Studio Ovale, arriva dopo l’esplicita richiesta del leader ucraino e mentre Mosca lancia avvertimenti su una potenziale escalation. Trump ha precisato di voler evitare un inasprimento del conflitto, ma ha anche ammesso di voler “scoprire cosa ne faranno” gli ucraini prima di autorizzare il trasferimento di questi sistemi d’arma avanzati.

Tomahawk non sono un’arma qualsiasi. Sono i missili da crociera più collaudati nell’arsenale americano, in servizio dal 1983 e utilizzati in ogni conflitto dagli anni ’90 a oggi. La loro eventuale consegna all’Ucraina rappresenterebbe un salto di qualità senza precedenti nel supporto militare occidentale a Kiev, con implicazioni strategiche che vanno ben oltre il fronte.

Cos’è e perché il Tomahawk fa tremare la Russia

Il BGM-109 Tomahawk è un’arma subsonica, ma estremamente sofisticata. Vola a bassissima quota, tra i 30 e i 50 metri dal suolo, seguendo il profilo del terreno con un radar altimetrico. Questa caratteristica, unita alle sue dimensioni compatte, lo rende estremamente difficile da individuare e intercettare per i sistemi di difesa aerea russi, anche quelli più avanzati come gli S-400.

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La vera minaccia per la Russia, tuttavia, risiede nella gittata del missile. Le versioni più recenti del Tomahawk possono colpire obiettivi fino a 2.500 chilometri di distanza. Con questo raggio d’azione, lanciato dal territorio ucraino, il missile potrebbe raggiungere praticamente qualsiasi punto della Russia europea e occidentale. Un rapporto dell’Institute for the Study of War (ISW) stima che esistano oltre 3.600 obiettivi militari russi potenzialmente vulnerabili a un attacco con questi missili.

Tra i bersagli ipotizzabili ci sono basi aeree strategiche, come quella di Engels-2 a Saratov, il quartier generale della Flotta del Mar Nero in Crimea, e persino fabbriche di droni nello profondo Tatarstan.

La reazione russa: tra panico e minacce

Il Cremlino ha reagito con una forte preoccupazione alla sola ipotesi che i Tomahawk possano arrivare in Ucraina. Il presidente russo ha definito un eventuale trasferimento una “qualitativamente nuova fase di escalation“, aggiungendo che l’Ucraina non potrebbe usarli senza la “partecipazione diretta” degli Stati Uniti, il che metterebbe Washington e Mosca in confronto diretto.

Nei media di stato russi, i toni sono ancora più apocalittici. Il noto conduttore Vladimir Solovyov, durante una delle sue trasmissioni, si è detto così scosso da chiedersi pubblicamente se la parentesi positiva con Trump fosse finita, per lasciare il posto alle “frustate”.

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Tuttavia, ha anche dovuto ammettere, in un momento di rara franchezza, che “colpi nucleari reciproci tra Russia e Usa significano la distruzione totale“, smorzando i toni bellicosi che abitualmente caratterizzano i suoi programmi.

L’ammiraglio Sergei Avakyants, in un talk show, ha riconosciuto la gravità della minaccia, sottolineando come una risposta debole da parte di Mosca potrebbe generare malcontento nella popolazione russa, abituata a sentire minacce di ritorsioni devastanti.

Le incognite della decisione di Trump

Nonostante le dichiarazioni, la partita sui Tomahawk è ancora aperta. Fonti vicine all’amministrazione americana mettono in dubbio la fattibilità operativa del trasferimento, sottolineando come gli attuali inventari di questi missili siano già impegnati per la U.S. Navy e per altri usi. La produzione annuale è limitata, con il Pentagono che prevede di acquistare solo 57 missili nel 2026.

Un’altra questione cruciale è il controllo operativo. Secondo alcune indiscrezioni, l’ipotesi più probabile non è una consegna diretta e incondizionata all’Ucraina, ma un sistema in cui i missili rimarrebbero sotto stretta supervisione americana. In pratica, gli Stati Uniti potrebbero mantenere l’ultima parola su ogni lancio, per evitare azioni che possano innescare un’escalation incontrollata.

Questa ipotesi è in linea con la richiesta di Trump di “sapere cosa intendono farne” gli ucraini. Kiev, dal canto suo, sostiene che il semplice possesso di un’arma così potente, anche senza usarla, avrebbe un enorme valore deterrente, costringendo la Russia a disperdere le proprie forze e a rivedere le proprie strategie logistiche.

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Uno sguardo al futuro

L’arrivo dei Tomahawk in Ucraina non risolverebbe da solo la guerra. Come sottolinea l’analista Vuk Vuksanovic, la sfida principale per Kiev rimangono le questioni di mobilitazione e di personale. Tuttavia, priverebbe la Russia del suo santuario interno, quel vasto spazio dietro le linee dove ha potuto spostare truppe, stoccare rifornimenti e produrre armi in relativa sicurezza.

La palla è ora nel campo di Donald Trump. La sua decisione finale sui BGM-109 Tomahawk non definirà solo le sorti di una battaglia, ma segnerà un nuovo, pericoloso capitolo nel confronto strategico tra la NATO e la Russia, con conseguenze imprevedibili per la sicurezza europea e globale.

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